Whatever it takes

… and believe me, it will be enough.

La durezza del vivere
5 min readFeb 4, 2021

“Ad ogni costo”. C’è da aspettarsi che questo concetto ritornerà ad essere familiare per noi italiani. Salutato dai media con fanfare, triccheballacche e kazoo entra in città il nuovo sceriffo, il giusto, buono, competente, caritatevole Mario Draghi. Con un entusiasmo simile a quello mostrato nel 2011 nell’accogliere il Primo Salvatore della Patria, l’altro Mario (Monti), giornali e TV tappezzano il percorso di Draghi verso palazzo Chigi gettando avanti a lui petali di rosa, irrorati da teneri pensierini sulla durata del suo matrimonio, sulla riservatezza e sul misurato stile del personaggio*.

I partiti che fino a ieri erano impegnati a mantenere in vita un grottesco governo di inetti si stanno rapidamente adattando e sosterranno, chi più chi meno, il nascente Governo Draghi. Chi fino a ieri era all’opposizione sta valutando le convenienze del momento e chissà, forse, vedremo. Qualcuno all’opposizione ci sarà comunque, giacché in un sistema parlamentare non se ne può fare a meno.

Al di là del consueto nauseante spettacolo offerto dall’informazione ufficiale, a noi tocca ragionare su cosa sta succedendo.

Siamo in un momento di profonda ristrutturazione economica, finanziaria e sociale che riguarda il mondo intero. Questa ristrutturazione, avviata dalle contraddizioni profonde scatenate dal modello di sviluppo capitalista, è violenta e dal punto di vista di chi la sta imponendo richiede rapidità ed efficacia nelle decisioni. Due qualità che la palude politica italiana non possiede.

Era dunque necessario che il già moribondo governo Conte II (il governo degli Arcuri, delle Azzolina, dei Bonafede, dei Di Maio e dei Gualtieri, ricordiamo), imbrigliato nella propria imbarazzante insipienza, si togliesse di mezzo per fare spazio a un governo che attuasse in maniera convinta il programma che qualcuno, altrove, ha già pensato. Il veicolo 5Stelle si è rivelato utile fino a un certo punto, essendosi nel tempo deteriorato nella sua missione suicida. Serviva un altro kamikaze, Renzi, che spezzasse lo stallo e consegnasse il paese nelle mani di un vero Responsabile.

Come ha candidamente argomentato un giornalista di Repubblica, al Quirinale per le consultazioni con Mattarella sono saliti (idealmente ma non tanto) anche Merkel, la baronessa von der Leyen, il Conte Gentiloni e il sempre giovine Macron. Tutti avevano in tasca, idealmente ma non tanto, la lettera Draghi-Trichet, spedita nel 2011 a un tremebondo governo Berlusconi, contenente il distillato del pensiero liberale.

Da allora, sapete già, alcune cose di quel programma sono state attuate, molte ancora no. Dunque, chi meglio di Mario Draghi può finire il lavoro e attuare il programma da lui stesso delineato quasi dieci anni fa?

Però, diranno forse ora alcuni lettori piddini (non ne ho quindi giochiamoci), Draghi è serio e competente. Ha salvato l’euro con il suo Whatever it takes, ha fatto dei bei discorsi ai giovani e l’anno scorso ha detto di essere preoccupato per il debito. E poi, ci sono i soldi dell’Europa da spendere e lui sa sicuramente come spenderli bene.

Certo la narrazione si è evoluta. Nove anni fa il governo Monti poteva contare sulla terrificante minaccia dello spread per attuare la macelleria sociale ed economica che ci ha ricacciato indietro di decenni. Oggi invece il nuovo tecnico arriva sull’onda dello slogan “non sprechiamo la storica occasione del Recovery Fund”. La gestione Covid, che fino a ieri sembrava IL problema per definizione, resta adesso sullo sfondo. All’improvviso, ci dicono i media, il paese è sull’orlo del baratro NON perché l’economia non è stata sostenuta sinora dal governo uscente, ma perché non riesce a spendere i soldi che l’Europa ci vuole regalare. Badate, come è raffinato questo gioco. Serve dunque un altro Salvatore.

L’unica speranza che il nostro martoriato popolo ha è che Mario Draghi, dopo una vita passata ad incarnare il Potere, arrivato all’età che ha, sia preso da un afflato cristiano di amore e fratellanza e, pentendosi, ponga rimedio ai suoi peccati sistemando i danni che ha fatto. Alcuni sono irreparabili e per quelli, per chi crede, ci sarà una Giustizia che non è di questo mondo, un dì. Quante probabilità ci sono che questo scenario si realizzi lascio al lettore di valutare.

Lo scenario più probabile (sarei felice di essere smentito dai fatti) è invece che Draghi proceda nell’attuazione del suo programma di austerità di bilancio e di riforme liberali, nel quale rientra a pieno titolo la gestione dei fondi Next Generation EU, volgarmente noto ai giornalisti come Recovery Fund, da spendere attraverso un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Non è escluso che, dall’alto della sua acclarata autorevolezza verso i consessi europei, possa negoziare qualche piccolo vantaggio più o meno temporaneo per il nostro Paese.

Come ormai dovreste sapere (se seguite @GiusLit lo sapete anche nel minimo dettaglio, se non lo seguite seguitelo!), i prestiti del NGEU verranno concessi all’Italia solo per investimenti in ben precisi ambiti, stabiliti ex-ante dall’UE. Ma ben più importante (e quindi accuratamente nascosto dai media) è il fatto che l’utilizzo dei finanziamenti per il PNRR è condizionato alla disciplina di bilancio pubblico secondo le raccomandazioni specifiche per paese dettate dalla Commissione Europea. In sintesi, l’UE ci presterà dei soldi solo per fare quello che essa vuole e solo a condizione che l’Italia attui le politiche di austerità cui l’UE è tanto affezionata.

La parte cosiddetta a fondo perduto del NGEU è, al netto della contribuzione dell’Italia al bilancio UE e considerando il risparmio sugli interessi per il debito, di circa 50 miliardi per tutti e sei gli anni del programma. Cioè, un po’ meno di dieci miliardi all’anno. Un’inezia, una ridicola miseria, rispetto al drammatico crollo dell’economia che vale per il nostro Paese centinaia e centinaia di miliardi, tra 2020 e anni seguenti.

Diventa allora evidente che, a fronte della drammatica situazione economica che ci aspetta nel 2021–23, questa timida contribuzione assomigli più a una beffa che a un piano Marshall. Se ne parla da un anno, non si è ancora visto un euro e intanto il Paese declina. La fine del blocco dei licenziamenti in primavera e le sofferenze bancarie che prima o poi esploderanno aggiungeranno benzina a un fuoco che già divampa. Le tante imprese medie e piccole sull’orlo del fallimento falliranno e con ciò si porterà a termine un progetto iniziato trent’anni fa con il trattato di Maastricht, ovvero distruggere il lavoro autonomo e la piccola impresa italiana.

L’arrivo del tecnico al governo è l’ennesimo espediente dei gruppi dominanti per accelerare la ristrutturazione economica, delegittimare le istituzioni nazionali e in ultimo la democrazia tout-court. Nel breve discorso del Presidente della Repubblica, che prendeva atto del fallimento del tentativo di Roberto Fico di trovare una maggioranza alternativa, salta agli occhi infatti l’antitesi tra l’esercizio della democrazia (le elezioni) e la necessità di approvare rapidamente il PNRR (cioè di istituzionalizzare il vincolo esterno). Un contrasto mai così esplicito. Chi non ha capito neppure ora non capirà mai.

L’espresso richiamo all’Europa fatto dal Presidente della Repubblica serviva a disciplinare questi riottosi rappresentanti eletti dal popolo e richiamarli, assertivamente, a un dovere di ubbidienza a Bruxelles. Perché se questo richiamo non bastasse, ci informa Mario Monti, ci penserebbe lo spread.

Ad ogni costo, dunque. Su chi sosterrà questo costo non sembra ci possano essere dubbi.

*Si favoleggia anche sul suo bracco ungherese.

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La durezza del vivere

https://t.me/durezzadelvivere Attenuare quel diaframma di protezioni che […] hanno allontanato l’individuo dalla durezza del vivere (T. Padoa Schioppa)